L’Arminuta e Borgo Sud. Lacrime vere (e amare)

In due giorni ho ascoltato Borgo Sud e riletto L’Arminuta. L’ho ascoltato perché mi è capitato fra i consigliati e non ho resistito. Avevo comprato il libro cartaceo il giorno stesso in cui è uscito, l’ho letto tutto di fila, di fretta. Ho litigato con i miei occhi, che non reggevano il ritmo della mia foga. Mi è rimasto addosso, come una di quelle giornate al parco divertimenti in cui, da bambino, al ritorno, sentivi di non essertela goduta come avresti dovuto, fino in fondo. Ho sentito un brivido. Sostenuta dal ritmo perfetto e dalla tonalità, roca e al tempo stesso limpida, della voce di Valentina Bellè, ho indossato lo scafandro e mi sono immersa nel mondo crudo dell’Arminuta e di Adriana, ormai adulte ma ancora lì, sugli stessi binari paralleli, per definizione inconciliabili. Di quel loro anno e mezzo di vita precedentemente condivisa (ovvero dell’Arminuta) ne ho avuto bisogno subito dopo: ho ascoltato il primo quarto in macchina e il resto l’ho letto sulla sdraio, nel prato, di fianco alla casa in montagna. Ho scelto un posto idilliaco, le luci del tramonto ad accompagnarmi sul finale, per farmi graffiare una seconda volta da questa storia, da queste parole, incastonate come diamanti su un elegante pavé, la cui cassa non protegge la pelle delicata dalle punte dure e impietose delle pietre, permettendogli di lacerarla fino al sangue, sporcando la luce bianca, pura che emanano con sfumature rossastre. Questo è il primo dei due volumi, la storia di più di un’infanzia coi vestiti macchiati di sangue, scaturito da ferite invisibili ma ugualmente indissolubili. I colpevoli sono chiari fin dall’inizio del racconto, ma i loro personaggi rimangono offuscati, come avvolti da una nebbia perenne: il padre, la madre, l’altra madre, il padre carabiniere. Adulti che non ce l’hanno fatta, che non hanno avuto coraggio, che, crudeli nella loro ignavia, non si meritano di essere chiamati per nome da quella figlia che hanno scambiato, abbandonato, perso come fosse un gatto che non riesca ad abituarsi alla vita d’appartamento.
In Borgo Sud, il risultato di quelle azioni dei grandi, che nella prima parte della storia già inizia a delinearsi, colpisce il lettore con violenza. Il fratello maggiore è morto, L’Arminuta si è rifugiata in Francia, Adriana per un po’ ha fatto la vita da pescatore, ora non la fa più ma è rimasta legata a quel borgo, come avrà modo di scoprire la sorella maggiore dalla chiamata che la raggiunge all’Università di Grenoble, in cui insegna. L’amore che doveva salvarla si è rivelato una farsa, l’uomo con cui aveva scelto di passare la sua vita un debole. La vita di queste due giovani donne ci è restituita a stralci, a spizzichi e bocconi ho pensato mentre leggevo: presente, passato prossimo e remoto si incrociano, si incastrano, ridanno l’immagine di una vita grama, in cui non si può far altro che resistere, perché resistere è l’unico compito che ci è stato affidato, nonostante tutto, nonostante tutti.

3 pensieri riguardo “L’Arminuta e Borgo Sud. Lacrime vere (e amare)

Rispondi