Umanità ininterrotta. Diario di viaggio sulla rotta balcanica.

Turchia: Gaziantep, Kirşehir, Smirne; Grecia: Samo, Atene, Salonicco; Macedonia: Skopje; Confine Macedonia-Serbia: Tabanovce; Serbia: Belgrado; Bosnia ed Erzegovina: Sarajevo, Velečevo, Valika Kladusa, Bihać; Italia: Trieste.

Da Gaziantep a Tuzla (Google Maps)
da Tuzla a Trieste (Google Maps)

Mi dispiace, ma voi non potete fare nulla. Io sono qui da cinque anni e ho parlato con tanti, troppi gruppi dall’Italia e da altri Paesi. Voi non potete fare nulla. Potete mettervi davanti a un governo in Europa e chiedere di accoglierci? Potete? No. La verità è che non interessiamo a nessuno, nessuno si preoccupa di noi. Due anni fa ho fatto un reportage sulla situazione degli iracheni qui in Turchia, ma a nessuno è importato. Molte persone mi hanno contattato in seguito al video, dicendo che potevano aiutarci, ma l’interesse generale è durato poco più di un mese, poi nulla è cambiato. Io non so come voi possiate aiutarci. Potete provarci. Dovete provarci. Penso che tutte le persone in Europa dovrebbero provare ad aiutarci, non con i soldi ma aiutandoci ad andarcene da qui.

Ismail

Il libro a cui è dedicata questa nota è stato pubblicato nel 2021 da Seipersei, una casa editrice indipendente senese, che dal 2011 si occupa di tematiche culturali, sociali e saggistica per adulti e ragazzi. I testi sono a cura dell’ASCS (Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo), ovvero il braccio sociale, operativo e culturale dei Missionari di San Carlo – Scalabriniani che operano in Europa e Africa e agiscono principalmente su tre aree: progetti e attività di accoglienza, sensibilizzazione e cooperazione allo sviluppo. Il progetto di questo diario di viaggio è stato realizzato grazie al supporto di Hakuna Matata Charity e della Chiesa del Carmine di Milano. Sul comunicato stampa, uno dei partecipanti spiega da cosa nasce il progetto: “L’idea di Umanità InInterRotta nasce dal desiderio di farci migranti con i migranti, cercando in prima persona di accorciare le distanze tra chi, come noi, possiede un passaporto che ci apre ogni confine e possibilità e chi, invece, sogna l’Europa ma trova solamente una via sbarrata da muri, respingimenti violenti e attese infinite in campi profughi o in insediamenti di fortuna”.

A me, Umanità ininterrotta, diario di viaggio sulla rotta balcanica è sembrato un libro speciale, perché è stato voluto e realizzato da persone che riescono a occuparsi quotidianamente delle sorti dei migranti senza che questi trasmutino da esseri umani a numeri. Perché racconta una storia che non può essere letta attraverso analisi socioeconomiche o tabelle stracolme di numeri. La storia di milioni di storie che si susseguono, troppo simili fra loro, ai limiti del mondo civilizzato, se può essere considerato civilizzato un mondo in cui azioni violente vengono perpetrate contro innocenti con il consenso delle più alte cariche dello stato.
Il pregio di questo libro, e ancora di più delle persone che lo hanno scritto, è l’essere riuscito a contenere i diversi punti di vista e al tempo stesso a tenerli ben distinti fra loro. Le voci dei giovani viaggiatori emergono chiare nel diario senza mai sovrapporsi a quelle dei migranti, anche quelle che danno l’impressione di raccontare a voce bassa, anche quando raccontano vicende che pensavano potessero esistere solo nella fantasia di un regista di terza categoria. Non è il racconto di come si sono sentiti loro, delle loro impressioni o dei loro pensieri a contatto con un mondo opposto a quello in cui sono abituati a vivere. Le testimonianze non sono filtrate dal punto di vista degli ascoltatori, sono solo testimonianze personali e, per proprio per questo, hanno un impatto fortissimo.

Voi potete chiamarmi così, Dani, anche se quando mi trovavo in Siria nel 2011, ho deciso di usare un soprannome per proteggere me e la mia famiglia dal regime e dalle forze di sicurezza. […] La mia famiglia è composta da sei persone; adesso siamo tutti al sicuro, eccetto mio fratello detenuto dal regime dal 2012, di cui non sappiamo più nulla.

Non a caso, è passato più di un mese prima che io trovassi il coraggio di scrivere quello che avevo da dire su questo libro e ancora non sono certa di avere il diritto di farlo. Tra l’altro, avevo, e ho tuttora, paura di sbagliare i toni o i termini, di banalizzare, apparire buonista, di dare l’impressione di compatire o, peggio, giudicare senza comprendere. Vorrei riuscire a non fare niente di tutto ciò, non voglio parlare di questo argomento con i toni compassionevoli, tantomeno come se stessi disquisendo sui risultati delle statistiche relative a quanto si legge nel nostro Paese, ma sento la necessità di parlarne perché non è giusto, perché tutto il mondo dovrebbe voltare la testa e guardare in quei non luoghi, per far sì che smettano di esistere. Tra l’altro, come spiega molto meglio di me questo testo, nessuno dovrebbe farlo. Piuttosto, le due emozioni che, a mio parere, sembrano emergere da questo reportage sono la rabbia e il dolore. È questo che racconta Umanità ininterrotta. Il pietismo è bandito dagli occhi e dalle menti dei viaggiatori, che a volte nelle pagine del diario si domandano perché abbiano deciso di intraprendere un viaggio del genere, se è giusto che siano lì in quelle case ad ascoltare storie che non riescono a immaginare – ma non per questo meno vere –, se è utile quello che stanno facendo o se la verità è che non possono farci niente, che i loro sforzi sono inutili.

Proviamo a immaginare la vita vissuta così, fianco a fianco con la morte. Proviamo ad allargare lo sguardo al di là delle nostre categorie di quotidianità, a dare una misura a un dolore che a malapena sappiamo concepire.

Non è così, questo libro merita di essere letto con molta attenzione. Nell’ultima pagina, sono gli autori stessi a scrivere il perché: Ci siamo accorti che le immagini e le parole lasciavano, in chi aveva voglia di mettersi in ascolto, una scia di Bene. Ci è sembrato di scorgerla negli occhi di tanti […] che, a fine serata, ci posavano una mano sulla spalla, con delicatezza, ci guardavano dritti negli occhi come per dire “io, quel dolore, lo vedo. E da oggi lo porto con me, lo porto nel mio. Posso garantire che succede davvero, è un mese che l’ho letto e questo nuovo dolore, più radicato e consapevole del precedente, non se n’è ancora andato, così come la rabbia. Questa rabbia, però, è una rabbia buona, una rabbia che è fonte di vita, carburante per la macchina del cambiamento. Quello a cui stiamo assistendo non è accettabile, non è accettabile che i diritti fondamentali di cui l’Europa è ambasciatrice nel mondo siano legati a un documento e non alla persona per il solo fatto che esista, perché, come è scritto su queste pagine, i diritti sono tali solo se sono di tutti. Altrimenti si chiamano privilegi.

A questo punto, non mi resta che ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla nascita di questo libro, in primis tutti i migranti che hanno deciso di condividere le loro vite con tutti quelli che leggeranno il libro, e di fare a tutti loro i complimenti, per essere riusciti a rispettare l’obiettivo con il quale il progetto del libro è nato: informare per coltivare empatia e consapevolezza, non inutile pietismo.

Tutte le citazioni sono tratte da Umanità Ininterrotta, disponibile qui.

Rispondi