Il banchetto annuale della confraternita dei becchini, Mathias Enard

Cose utili da sapere prima di iniziare a leggere il romanzo:

DEUX-SÈVRES: dipartimento francese, che ha per capoluogo Niort; misura una superficie di 6055 kmq. È formato con una parte del Poitou e della Saintonge. Comprende tre regioni: 1. il Bocage o Gâtine, continuazione del Bocage vandeano, regione costituita da colline e altipiani sparsi di boschi e di stagni, il cui suolo siliceo necessita di una costante calcificazione; 2. la Plaine (calcare giurassico), che fa parte del Poitou e comprende la regione di Melle e Niort; 3. la zona paludosa (Marais) prosciugata (alluvioni fluviali e insabbiamenti marini), dalle terre forti e argillose. La popolazione, 309.820 ab. nel 1926 (51 per kmq.), è soprattutto rurale; domina la grande proprietà. Attiva è la vita agricola (cereali, frumento sui terreni calcarei, vigneti nella parte sud del dipartimento). Le colture orticole (carciofi, cipolle, ecc.) hanno preso un grande sviluppo nella regione di Niort. (Treccani)

FRANÇOIS RABELAIS: frate francescano, monaco benedettino, prete secolare, poi baccelliere e, infine, medico eletto, pubblica sotto pseudonimo, nel 1532, il primo dei roman che lo consegneranno alla memoria dei posteri: Les horribles et espouvantables faits et prouesses du très renommé Pantagruel, roy des Dipsodes; l’altro, La vie inestimable du grand Gargantua, père de Pantagruel viene pubblicato qualche anno dopo, proprio mentre le lotte fra protestanti e cattolici si facevano più acute, nonostante l’università di Parigi avesse già condannato come immorale il Pantagruel.  La pubblicazione costò al curato di Meudon l’allontanamento dalla società, a seguito del quale fece perdere le sue tracce per alcuni anni. Ispirati alla tradizione cavalleresca del ciclo arturiano e alle vivide leggende sui giganti, i due poemi si inseriscono nella tradizione rinascimentale di cui è parte anche il Morgante di Pulci (che forse, all’orecchio di noi italiani, suona più familiare). (Treccani)

MATHIAS ENARD: professore di arabo all’università autonoma di Barcellona, traduttore e collaboratore di riviste culturali ha scritto diversi romanzi, i più famosi sono (probabilmente) Bussola e Zona, rivolgendo in particolare la sua attenzione al rapporto fra cultura mediorientale e occidentale, o almeno lo ha fatto fino ad ora.

Non so da dove cominciare, probabilmente su questo romanzo e sul suo autore si potrebbe tranquillamente scrivere un libro, l’elenco degli approfondimenti potrebbe essere pressoché infinito e sono almeno sedici le testate, fra cartacee e online, ad averne scritto la recensione. Il banchetto annuale della confraternita dei becchini è gargantuesco come lo stesso Gargantua, pantagruelico come Pantagruel, il gigante figlio che non si risparmia, che fa la guerra e dopo averla vinta visita le regioni più “peculiari” del mondo (sempre Treccani). Un libro, forse più il suo autore, che non si risparmia, un appetito insaziabile lo porta a inserire il più possibile, la Ruota regolatrice di vita e morte modifica la disposizione del tempo che da lineare si fa circolare. Ogni punto è legato all’altro attraverso un percorso casuale più che causale, come può essere quello dell’anima di Thomas il ciccione, che diventa riccio, poi una cimice dei letti femmina che ha l’onore di succhiare il sangue di Napoleone Bonaparte in persona addormentato su di un letto in una locanda di Niort. Un espediente narrativo che ricalca il nonsense della vita e utilizzato da Enard per mostrare al lettore un altro spaccato di realtà, un altro frammento della storia: il paesino sede delle vicende è quello che è perché ogni espressione delle anime che lo abitano hanno fatto quello che hanno fatto e sono state quello che sono state.

Tre, i livelli del racconto che prendono corpo dall’amalgama stilistica alla base della struttura del romanzo e che permettono di scegliere, di volta in volta, la prospettiva da cui interpretare la storia narrata. Quattrocentosessantasette, le pagine suddivise in sette parti intramezzate da sei canzoni. La prima e l’ultima sono pagine del diario di viaggio del protagonista, il punto d’avvio è il trasferimento di quest’ultimo, David Mazon, nel dipartimento di Deux-Sèvres (Nuova Aquitania), più precisamente a Pierre Saint Cristophe, per studiare la vita delle comunità rurali nel XXI secolo e compilare la tesi di dottorato in antropologia, il punto di arrivo è forse un po’ scontato, ma, nel caso in cui come a me vi venisse il dubbio: no, il giovane antropologo non diventerà becchino. Nel mezzo, si può ammirare la chiave di volta, la Ruota con i suoi becchini, sorreggere i differenti stili e generi di narrazione – diario di viaggio, saga familiare e romanzo grottesco –, così come i numerosi argomenti trattati, che vengono armonizzati da una patina uniforme di ironia stesa su ogni pagina, che, forse, – come scrive Carlo Mazza Galanti – è più umorismo e che rende l’atmosfera densa e leggera, ossimorica e già di per sé votata all’assurdo, capace quindi di prestarsi alla riflessione come allo svago. Mi hanno divertita gli interventi dei becchini durante il banchetto, quanto mi hanno inquietato le pagine dedicate agli antenati di Lucie (una dei coprotagonisti del racconto), mentre l’arrovellamento di David non poteva che spingermi ad arrovellarmi a mia volta. Su un possibile ritorno alla terra, sull’inutilità che la teoria a volte sembra rappresentare, su come, a volte, sembra davvero che il destino ti conosca meglio di quanto conosci te stesso.

Il linguaggio è movimentato come il susseguirsi delle vicende, si passa da quello poco sorvegliato e irriverente di David, in cui l’umorismo è sintomo e mezzo di rappresentazione dello spaesamento di un giovane parigino alle prese con una vita di campagna, a quello più impostato e drammatico tipico delle saghe familiari più tradizionali, in cui il livello di perfidia della vita sembra sconfinata, a cui non mancano richiami gotici ed esoterici; per poi diventare scanzonato e burlesco in bocca ai becchini, proprietari di un terzo stile linguistico che lascia spazio a rime facili e baciate, che puntellano l’aurea pittoresca e anacronistica di una misteriosa confraternita nata ai tempi di Saladino, in cui si trova spazio per parlare di inclusività e leggenda, di ecologia e amore.

La verità è che davvero potrei andare avanti all’infinito, ma odio recensioni, articoli, considerazioni e quarte quando svelano troppo della trama, credo che a riassumerla e a segnarne le tappe principali, come se il romanzo fosse un piatto sentiero di montagna, spesso si fa danno al romanzo stesso, per non parlare di quando ti raccontano tutto di un autore e poi non hai più voglia di leggere il libro, perché il ritratto della persona ha disintegrato l’atmosfera in cui il romanzo avrebbe dovuto vivere o, peggio, risulta antipatico.
Io della trama ho detto poco e dell’autore quasi nulla, però spero di non aver parlato di niente, anzi, spero che questa breve nota vi sia piaciuta e che vi abbia fatto venir voglia di leggere questo romanzo, perfetto per tenervi compagnia durante le vacanze di Natale!

A presto,

Silvia

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