Oliva Denaro – Viola Ardone

– Mi scusi professoressa, l’esercizio è sbagliato.
– In che senso, Oliva? Non capisco.
–La donna non è mai singolare.

In questo suo terzo romanzo, di pietre che pesano come verità, Viola Ardone ne lancia diverse. Questa, condensata in un breve scambio di battute fra insegnante e alunna all’inizio della storia, mi pare la più pesante di tutte. Forse perché è, a un tempo, la più ovvia e la meno riconosciuta, forse perché è la verità che contiene tutte le altre. Sicuramente perché è la chiave di lettura del romanzo intero. Tutto gira proprio intorno a questa verità: una donna non è mai singolare perché a una donna non è permesso l’uso del pronome Io. Io è proprietà degli uomini, e neanche di tutti. Le donne non sono neanche, grammaticalmente parlando, un loro, anche questo pronome è occupato, è l’opposto di noi, è noi è il plurale di io. Le donne sono altro. Le donne sono pronomi indefiniti, entità ausiliarie alla sopravvivenza del sistema che non hanno diritto ad essere definite, circoscritte, ad avere un ruolo autonomo. Le donne sono l’altro, il resto. E lo dico al presente, come se non stessi parlando della vicenda del libro, perché, anche se molto è cambiato, niente è cambiato. Parlando di uomini si fanno nomi e cognomi, si raccontano carriere, imprese e obiettivi. Le donne sono intercambiabili. L’uomo in fallo è perdonato, giustificato, scusato, perché il suo Io è complesso, plurimo, istintivo, definito.

A imprimere ulteriore forza al lancio di queste pietre contribuisce la voce di Emanuela Jonica, che si fa amplificatore di quella della protagonista, riuscendo ad ispessire ulteriormente il piano di realtà finzionale. Quella di Oliva Denaro è una storia cruda, dove il narratore intradiegetico e omodiegetico cresce, evolve insieme alla sua storia, le credenze presentate sono esattamente le stesse dei protagonisti, non ci sono voci fuori campo che cercano di mitigare i fatti né tentativi di introspezione. A me ha ricordato molto i libri della mia adolescenza: Costretti a sanguinare, Alice: i giorni della droga, le tremende storie autobiografiche di giovani anoressiche, le testimonianze e i romanzi sul Dopoguerra, quelli sul fenomeno dell’eroina in Italia. Oliva Denaro non è un libro che fa bene al cuore, ma un libro che fa bene alla mente.

Durante la lettura ho sentito l’odore familiare dei tascabili logori che sfilavo senza chiedere dalla libreria dei miei mischiarsi a quello della casa della famiglia Denaro, a quello di Oliva stessa, al profumo dei gelsomini e delle arance. Oliva Denaro è, in sostanza, un grande romanzo, uno di quelli in cui luoghi e personaggi appaiono a comporre scene e sequenze come fossero una serie di istantanee in fase di sviluppo, il cui scopo è immobilizzare l’attimo che altrimenti sfuggirebbe e interromperebbe la serie. Tutto quello che dice la voce narrante è necessario, il resto viene taciuto e rimane al lettore, che deve tenere il passo anche con la crescita della protagonista che muta atteggiamento, pensieri e convinzioni come vogliono i suoi quindici anni e lo costringe a rispolverare ricordi, insegnamenti e frammenti di memoria collettiva per metterli al servizio della storia di Oliva, per ricostruire tutto quello che la macchina fotografica non ha immortalato. È, infine, un romanzo che lascia sazi, appagati. Nella #librista di narrativa si merita sicuramente un’ape: Ardone ha una scrittura potente, la sua mente sembra non esitare. Se fosse una pittrice loderemmo la sua mano così precisa nel tratto; invidieremmo, se fossimo a nostra volta pittori, quella mano che non sbava, a meno che non voglia. Insomma, le competenze di professionista della letteratura emergono e adornano una storia che sarebbe stata grande anche se fosse stata scritta male.

Ora vado, Il treno dei bambini mi aspetta (non in senso letterale)!

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